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Emilia, operazione contro la ’ndrangheta, 160 arresti

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franco giubilei
Maxi operazione dei carabinieri contro la ’ndrangheta in Emilia Romagna. Gli arresti disposti dalla magistratura di Bologna sono 117. Tra questi anche il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani (Forza Italia). Altri 46 provvedimenti sono stati emessi dalle procure di Catanzaro e Brescia, per un totale di oltre 160 arresti. Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia le Regioni interessate.

«Appassionato di politica da sempre, da anni sono tra gli animatori del centro-destra reggiano». Si presenta così Giuseppe Pagliani, il 41enne avvocato e consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Emilia arrestato stamattina dai carabinieri nella sua casa di Arceto. Dovrà rispondere dell’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nel quadro della maxioperazione coordinata dalla procura di Bologna e scattata la scorsa notte, con 117 ordinanze di custodia cautelare in carcere.

Sul suo sito internet racconta che svolge la professione di avvocato occupandosi principalmente di diritto societario, finanziario e penale. Molto attivo e in ascesa sulla scena politica locale negli ultimi anni, prima di approdare ai consigli comunale e provinciale di Reggio Emilia è stato per cinque anni consigliere al comune di Scandiano, dove era anche vicepresidente dell’assemblea. Prima di darsi all’attività forense nello studio aperto a Reggio, si è fatto le ossa professionalmente nell’azienda di famiglia – si definisce «esperto conoscitore di carni bovine» – e poi in campo commerciale, operando nel settore ceramico nelle fiere italiane e internazionali.

Da avvocato, e questo probabilmente lo mette in contatto col mondo dell’economia sommersa che viene scandagliato dall’inchiesta, approfondisce il diritto societario e commerciale specializzandosi in operazioni straordinarie di fusioni, incorporazioni, scissioni societarie, ristrutturazioni e «tutte le altre operazioni che rappresentano l’universo di opportunità che le aziende possono cogliere sfruttando al meglio gli strumenti giuridici adeguati», come recita il curriculum di Pagliani. Da un punto di vista politico invece il passo importante risale al 1999, quando viene selezionato alla scuola di formazione politica “Stato Nuovo” di Roma condotta dal professor Gianfranco Legitimo.

A coordinare l’inchiesta, denominata “Aemilia”, la procura distrettuale antimafia di Bologna, che ha ottenuto dal gip un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 117 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti ed altro. Tutti reati commessi con l’aggravante di aver favorito l’attività dell’associazione mafiosa. Contestualmente, le procure di Catanzaro e Brescia – in inchieste collegate – hanno emesso altri 46 provvedimenti di fermo per gli stessi reati. Imponente lo schieramento dei carabinieri impiegati, anche con l’ausilio di elicotteri, in arresti e perquisizioni. In Emilia, sottolineano gli investigatori, la ’ndrangheta ha assunto una nuova veste, colloquiando con gli imprenditori locali. I dettagli dell’operazione saranno resi noti in una conferenza stampa in programma alle 11 presso la procura di Bologna, alla presenza del procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti.

Tra le persone coinvolte nella maxi operazione ci sono anche i fratelli del boss già detenuto Nicolino Grande Aracri, Domenico ed Ernesto. Domenico Grande Aracri, che è un avvocato penalista, è stato arrestato in esecuzione di una delle 117 ordinanze di custodia cautelare emesse su richiesta della Dda di Bologna, mentre Ernesto Grande Aracri è uno dei destinatari dei 37 provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Catanzaro. Dall’inchiesta, secondo quanto si è appreso, è emersa la diffusione capillare in Emilia Romagna, ed in parte della Lombardia e del Veneto, delle attività della cosca di ’ndrangheta dei Grande Aracri, sotto il diretto controllo e la guida di Nicolino Grande Aracri, con infiltrazioni in molteplici settori economici ed imprenditoriali.

http://www.lastampa.it/2015/01/28/italia/cronache/operazione-contro-la-ndrangheta-arresti-gXFUectha0X4bUzka4d9LN/pagina.html

La ’Ndrangheta in Emilia, quei rapporti con la politica

L’indagine “Aemilia” mostra connessioni con numerosi amministratori locali
Luca Rinaldi

La mafia non siamo noi

«La ‘ndrangheta c’è, anche a Reggio Emilia, ma è sempre altrove, sempre in un “altrove”, fisico e geografico tale da non richiedere mai una presa di distanza reale, una indicazione precisa, una posizione chiara. Purtroppo questo sarà il rischio corso anche da tanti amministratori constatato nel corso dell’indagine».

Quattro righe scritte a pagina 864 dell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione Aemilia della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna, che la scorsa settimana aveva visto finire in manette 160 persone e indagate altre 200. Quattro righe che disegnano il rapporto perverso, ma strettissimo tra mafia, politica e mezzi di comunicazione in quel dell’Emilia Romagna.

Da sdoganare c’era la battaglia contro il prefetto Antonella de Miro e i provvedimenti di interdizione dei confronti delle società legate agli indagati a cui erano state revocate le certificazioni antimafia. In particolare è uno degli arrestati nell’indagine, Michele Colacino, ad avviare le danze in tal senso. Con la cooperativa Transcoop di cui è socio, partecipa a un contratto per la raccolta rifiuti solidi urbani per contro del gruppo Iren, e in seguito all’intervento dell’antimafia si vedrà bloccare i mezzi.

Gli inquirenti: «La ‘ndrangheta c’è, anche a Reggio Emilia, ma è sempre altrove, sempre in un “altrove”, fisico e geografico tale da non richiedere mai una presa di distanza reale, una indicazione precisa, una posizione chiara. Purtroppo questo sarà il rischio corso anche da tanti amministratori constatato nel corso dell’indagine»

Due mesi dopo il provvedimento del prefetto, arrivato nel febbraio del 2012, si presenta alla porta di Colacino uno degli inviati dello “Speciale Tg1” che sta raccogliendo materiale per un servizio sulla ‘ndrangheta in regione. Colacino nel suo intervento minimizza la presenza della ‘ndrangheta a Reggio Emilia e afferma che, riassumo i magistrati «la vera mafia è individuabile nelle cooperative, nella Camera di Commercio e nella Prefettura”. Visione condivisa e portata avanti pubblicamente anche da altri affiliati e da una parte della politica emiliana che secondo gli inquirenti risulta vicina ai clan, in particolare ai Grande Aracri di Cutro.

Da qui, dai provvedimenti prefettizi, arriva l’abboccamento con Giuseppe Pagliani, capogruppo del Pdl al Consiglio Provinciale di Reggio Emilia, e l’ormai noto pranzo presso il ristorante “Antichi Sapori”. A dirigere le danze è Nicolino Sarcone, che secondo gli inquirenti è «referente della cosca a Reggio Emilia e comuni limitrofi».

Una occasione ghiotta sia per le cosche, ma anche per Pagliani, che intercettato al telefono con la fidanzata, non si fa problemi nel far notare come gli uomini incontrati «vogliono usare il partito, il Pdl per andare contro la Masini (presidente della Provincia, ndr), contro la sinistra». Insomma, sintetizzano gli inquirenti, sfruttando «la potenzialità elettorale dei “cutresi” per sconfiggere gli avversari politici.

I rapporti con la politica locale

Non sono pochi gli amministratori locali “inciampati” in qualche modo nella rete degli investigatori nel corso delle indagini. Dunque Pagliani non è solo: finiscono in manette anche Giovanni Bernini, ex presidente del consiglio comunale di Parma, in passato consigliere dell’ex ministro Lunardi, stando all’inchiesta della magistratura avrebbe contattato gli uomini dei clan per procurarsi voti. La contropartita? Denaro e facilitazioni a livello amministrativo.

Ancora, sempre in Emilia, è Gino Frijio, uomo legato ai cutresi, che intercettato esorta altri sodali a sostenere anche il futuro sindaco di Parma Luigi Villani e Paolo Buzzi (ex presidente del Cda della stessa Iren). Nomi quelli di Vignali, Villani e Buzzi che tornano dall’inchiesta che nel 2013 vide finire in manette tre con le accuse di corruzione e peculato.

Non solo Emilia però, perché il clan di Nicolino Grande Aracri punta anche il Veneto e in particolare Verona. Stando alle indagini i lascia passare buoni sono quelli dell’industriale Moreno Nicolis (finito ai domiciliari) e Antonio Gualtieri, “ministro delle finanze” del clan. Nel 2012 i due si dedicano insieme ad un affare immobiliare, Nicolis, scrive il gip, è in «ottimi rapporti con l’amministrazione scaligera», e mira ad acquisire l’area di Tiberghien dopo il fallimento della Rizzi Costruzioni. Anche Grande Aracri, tramite Gualtieri si mostra interessato all’affare.

Non solo Emilia però, perché il clan di Nicolino Grande Aracri punta anche il Veneto e in particolare Verona

Da qui arriva anche il pranzo con Flavio Tosi (non indagato) e Vito Giacino, ex vice sindaco, con delega all’Urbanistica, condannato in primo grado a cinque anni per corruzione. D’altronde è lo stesso Gualtieri che dice «Questi “baluba”… non capiscono che senza politica… non si fa niente».

L’affare sulla speculazione edilizia, ricostruiscono gli inquirenti, intanto rientra nel “‘Piano degli interventi” della giunta scaligera con le varianti urbanistiche chieste dalla società di Nicolis, la Nicofer. Agli atti finisce pure un’intercettazione ambientale che ricostruisce un incontro a Cutro tra il boss Nicolino Grande Aracri, Gualtieri e lo stesso Nicolis. Natale 2011. A bordo del suv di Gualtieri gli investigatori hanno piazzato le cimici. «Non mi sembra tanto forte questo qua», dice Nicolis rivolto a Gualtieri descrivendo l’impressione su Grande Aracri. Gualtiero però risponde: «Morè, ascolta, lui è quella persona che comanda la Calabria… Senti a me, a un tuo fratello, che io ti voglio bene veramente … Morè, lui comanda». Un passaggio che per gli inquirenti dimostra «il forte legame con l’associazione mafiosa, di fatto non ricollegato a comuni origini regionali né a vincoli parentali».

Il “pellegrinaggio” a Cutro e i voti sospetti

Non è tra gli indagati, ma è stato sentito dai pm e sicuramente nei prossimi mesi ci saranno altre cose da chiarire davanti alla magistratura. Si parla dell’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio, che da sindaco di Reggio Emilia era tra i promotori del gemellaggio proprio con la città di Cutro.

I magistrati lo convocano in virtù di quell’episodio e della partecipazione alla processione del Santissimo crocefisso in periodo elettorale insieme ad altri candidati sindaci. Con lui, riporta il Corriere della Calabria, anche Antonio Olivo, consigliere comunale dem non indagato, ma considerato in ambienti investigativi vicino ad alcuni uomini di Nicolino Grande Aracri. Olivo alla Gazzetta di Reggio, riprese anche il refrain sulle interdicevi antimafia: «devono essere usate però con una certa accortezza», difendendo Sarcone, tra gli imprenditori raggiunti dai provvedimenti del prefetto. «Ha avuto purtroppo dei problemi in passato – dice – e se li è portati dietro nel tempo. Lo conosco anche se non ci frequentiamo: è molto bravo nel suo lavoro. Stiamo attraversando tutti una situazione davvero complessa, con le banche che non ci danno soldi e un sacco di pregiudizi». Insomma i calabresi ancora vittima di crisi e cooperative.

Così come non è indagata, ma gli atti che ha firmato sono sotto la lente d’ingrandimento della procura di Bologna, Maria Sergio, ex dirigente del settore urbanistica del Comune di Reggio Emilia e moglie dell’attuale sindaco democratico Luca Vecchi, sospettata di aver agevolato alcune imprese vicine ai clan.

Il Movimento 5 Stelle chiederà le dimissioni da sottosegretario di Delrio «perché da sindaco avrebbe dimostrato sottovalutazione e leggerezza nell’affrontare un tema così delicato»

Delrio dunque a Cutro in pieno periodo elettorale non ci va da solo e davanti ai pm cita il collega consigliere comunale del Pd Savatore Scarpino e lo stesso Gualtieri. Su Grande Aracri davanti ai pm Delrio dice «Non sapevo che era originario di Cutro. Sapevo che era calabrese, ma non sapevo che fosse originario di Cutro. Perché abita lì nel centro di Cutro? No, io non lo sapevo».

La lettura di un report dello studioso Enzo Ciconte, pubblicato proprio sul sito del comune nel periodo in cui Delrio è stato primo cittadino avrebbe potuto essere d’aiuto anche per raccogliere informazioni utili sull’inquinamento dell’economia in regione.

A verbale Delrio afferma anche di aver accompagnato alcuni esponenti della comunità cutrese ad un incontro chiarificatore con il prefetto Antonella de Miro. «Li ho accompagnati perché il prefetto potesse spiegare le ragioni» dice sentito dai pm nel 2012.

Sulla vicenda, sulla tempistica e sulle “manifestazioni di amicizia” con Cutro qualcuno desta però più di un sospetto. La Casa della Legalità pubblicando un dettagliato dossier sull’operazione fa notare «Delriò trionfò in quella tornata elettorale. Il partito di Delrio, il Pd, alle comunali ottenne 37.890 voti, e la sua lista personale “Cittadini con Delrio” conquistò altri 1.637 voti. Complessivamente 39.527 voti. Venne eletto sindaco al primo turno con il 52,5 %. Su quello stesso territorio del Comune di Reggio Emilia, nelle parallele elezioni provinciali, il Pd recupera 34.959 voti, ovvero 4.568 in meno rispetto ai voti conquistati, nella stessa votazione, nello stesso territorio, con Delrio, per il Comune. Che in quella differenza di voti abbia pesato il fatto che a differenza di Delrio (a pieni voti) la Sonia Masini, presidente uscente e ricandidata alla presidenza della Provincia si sia rifiutata di scendere a Cutrò alla processione dietro al Santissimo Crocefisso».

Tuttavia gli inquirenti riconoscono al sottosegretario di aver reagito in modo “molto chiaro” nel momento dell’apparizione sugli organi di informazione di articoli che ridimensionavano il fenomeno della ‘ndrangheta in quel di Reggio Emilia. Tuttavia, riporta Il Fatto Quotidiano, oggi (6 febbraio) il Movimento 5 Stelle chiederà le dimissioni da sottosegretario di Delrio «perché da sindaco avrebbe dimostrato sottovalutazione e leggerezza nell’affrontare un tema così delicato».

http://www.linkiesta.it/emilia-romagna-ndrangheta-politica

‘Ndrangheta, a Parma quartiere costruito dal boss. “Qui risolviamo alla calabrese”

A Sorbolo 40 appartamenti nuovi di zecca, del valore di circa 20 milioni di euro, sono stati sequestrati nell’operazione Aemilia. Il sindaco: “Vigileremo”. Dalle carte le pressioni sul costruttore perché usasse i fornitori imposti e materiali scadenti. Fino alle minacce: “Attento a quello che fai, non pensare che la risolviamo alla parmigiana”

In Emilia la ‘ndrangheta faceva soldi con il mattone, investendo nei cantieri denaro proveniente dagli affari illeciti delle cosche. È a Sorbolo, paese parmense a una manciata di chilometri da Brescello, che secondo gli investigatori la “lunga mano” del boss Nicolino Grande Aracri aveva trovato una fonte di guadagno nel mercato immobiliare, con una rete di società che negli ultimi anni ha realizzato palazzi e condomini per un valore di circa 20 milioni di euro. L’obiettivo era produrre ricchezza per poi rimandare i proventi delle operazioni alla casa madre. I soldi viaggiavano da sud a nord e viceversa grazie all’aiuto di autisti compiacenti sugli autobus di linea nelle tratte dalla Calabria all’Emilia. Come si legge negli atti dell’inchiesta Aemilia della Dda di Bologna che il 28 gennaio ha portato all’arresto di 117 affiliati alla ‘ndrangheta, nell’“affare Sorbolo” il modello imprenditoriale seguito era quello emiliano, ma le modalità riproponevano “l’imprinting mafioso”, con l’imposizione di subappalti a ditte vicine alla ‘ndrangheta e di uomini e materiali con cui lavorare.

Tra via Genova e via Marmolada, nel quartiere che mercoledì mattina è stato svegliato dal rumore degli elicotteri e dai fari puntati delle forze dell’ordine, ora una quarantina di appartamenti è sotto sequestro. Le persone che abitano da anni nella zona dicono che si sapeva da tempo che la ‘ndrangheta faceva affari in paese: “Colpa dello Stato, di chi ha dato i permessi, di chi non ha vigilato su queste persone”. Il sindaco Nicola Cesari, da otto mesi alla guida del Comune, ha rassicurato i suoi abitanti e si dice pronto a “collaborare con la giustizia, a vigilare insieme alla comunità per contrastare in futuro qualsiasi forma di illegalità”, ma intanto in pochi hanno voglia di parlare della vicenda: “Non dico nulla, non vorrei che poi mi accoppassero”, mormora un uomo guardando le case sequestrate.

Secondo gli inquirenti, a foraggiare i cantieri nell’area ai margini del paese con i soldi dei cutresi era Romolo Villirillo, emissario di Grande Aracri in Emilia, che dall’affare Sorbolo riusciva a fruttare dai 30mila ai 40mila euro al mese. Il sodalizio ruotava intorno al nome di Francesco Falbo, imprenditore sorbolese originario di Cutro che nel 2007 entra in contatto con i fratelli Giulio e Giuseppe Giglio, tutti coinvolti nell’inchiesta. In quel periodo l’imprenditore ha acquistato un lotto di terra per 800mila euro e i due gli si propongono come soci per offrirgli liquidità per cominciare i lavori. Con loro arrivano anche Giuseppe Pallone e Salvatore Cappa, presentato come “socio occulto”, colui che “mette il nero nell’affare”, e Salvatore Gerace, con la funzione di “cassiere” per il gruppo, che nelle amministrative del 2012 aveva tentato la scalata del Comune di Parma come candidato consigliere nelle file dell’Udc dopo un passato da consigliere di quartiere in città. Aurora Building, K1, Gea Immobiliare, Tanya Costruzioni Srl, Medea Immobiliare Srl, Pilotta Srl, Azzurra Immobiliare e Sorbolo Costruzioni sono le società edili con sede tra Sorbolo, Parma e Reggiolo con cui, ricostruiscono gli investigatori, la ‘ndrangheta porta avanti fino all’inizio del 2014 le operazioni immobiliari attraverso soci e prestanome.

Di Sorbolo si interessano anche elementi considerati di spicco nelle cosche emiliane, tra cui Alfonso Diletto, Michele Bolognino e Nicola e Gianluigi Sarcone. Lo stesso boss Nicolino Grande Aracri se ne occupa personalmente grazie al tramite dei suoi affiliati che fanno la spola dall’Emilia a Cutro e Isola di Capo Rizzuto tra riunioni e movimenti di denaro. È proprio la provenienza dei finanziamenti che a un certo punto comincia a destare dei sospetti in Falbo, che rifiuta gli assegni provenienti da Cappa: “Ascolta, a me gli assegni di Cutro per favore, giri strani io non li voglio, ‘sti assegni te li riprendi e mi dai gli assegni come si deve! Ma non so neanche di chi sono!”. L’uomo però subisce le decisioni dei soci: è costretto a pagare una mazzetta di 100mila euro come percentuale per gli appalti ottenuti con le sue imprese e gli vengono imposti mezzi e uomini attraverso Giglio:“Giglio diceva: ‘Allora l’intonaco lo fa lui, la ghiaia la portiamo noi, il materiale te lo compriamo noi’”. A Falbo viene ordinato di assumere due operai affiliati alle cosche con un passato di atti malavitosi, e di affidare gli appalti a imprese “amiche”, ingaggiando per esempio degli imbianchini a un compenso più alto di quello che avrebbe fatto con la sua stessa ditta. In cantiere arriva anche materiale di dubbia provenienza: gru, gasolio “scontato al 30 per cento”, ma anche porte e piastrelle, e perfino camion di ghiaia scadente, mista a terra, tanto che il geometra di Falbo li rimanda indietro. “Il mio geometra li mandava via – racconta l’imprenditore ai pm – ma arrivava la telefonata di Giglio, fai scaricare i camion, la ghiaia così com’è va bene… E in effetti dopo abbiamo avuto dei problemi sulla strada, abbiamo dovuto fare dei rappezzi”.

Quando Falbo si ribella a queste imposizioni, nei suoi confronti cominciano le minacce, fino al recapito di una busta con quattro proiettili: “Guarda che noi le cose le risolviamo alla calabrese, non pensare che tu te le risolvi alla parmigiana! Stai attento a quello che fai!”, e ancora: “C’abbiamo tutti delle famiglie! Attenzione!”. Con la crisi del mercato immobiliare la situazione precipita e Falbo, tra continue intimidazioni, viene estromesso dalla gestione delle società ed è costretto a dimettersi dai suoi incarichi, a cedere quote per 7 milioni di euro e un terreno dal valore di 850mila euro, fino a quando le sue ditte non vengono dichiarate fallite. Quando si decide a denunciare la situazione, per lui comincia l’isolamento, diventa “l’infame che collabora con la giustizia”, anche se per i pm l’imprenditore, coinvolto nell’indagine, non è sprovveduto e vanta appoggi nella consorteria criminale, come la conoscenza dei Sarcone, a cui si rivolge per farsi aiutare nel braccio di ferro con i suoi soci. La sua posizione è da chiarire, anche se per ora risulta non avere avuto vantaggi, ma soltanto perdite dall’operazione.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/03/ndrangheta-parma-quartiere-costruito-dal-boss-risolviamo-calabrese/1390668/

Reggio Emilia, commissione Antimafia: “Qui ‘ndrangheta pronta a usare armi”

I parlamentari si sono riuniti a Reggio Emilia per fare il punto della situazione sull’inchiesta Aemilia che nei giorni scorsi ha portato all’arresto di 117 persone

Cinque ore di audizioni per la Commissione parlamentare d’inchiesta antimafia che ha fatto tappa a Reggio Emilia (per poi spostarsi a Modena) per fare il punto sull’inchiesta della Dda di Bologna e sull’espansione della criminalità organizzata in questa regione. “La ‘Ndrangheta al nord non è meno pericolosa che al sud” ha detto il senatore Pd, Franco Mirabelli, nel corso della conferenza stampa. “Dalle relazioni è emerso che sono in grado di sparare, hanno arsenali, pistole, armi. Non lo fanno perché in questo momento non gli serve”. Preoccupazione confermata anche dalla presidente, la senatrice Pd Rosy Bindi, che però ha escluso, sulla base delle indagini, un coinvolgimento delle cooperative. “Al momento non emergono illeciti. Non siamo di fronte a una situazione come quella romana”. E poi ha aggiunto: “Per molti aspetti ancora più inquietanti ci è stato riferito che il quadro non è stato ancora completamente definito e avrà ancora ulteriori sviluppi”. E ha concluso: “Le relazioni in questa commissione ci hanno confermato quello di cui aveva già contezza, ovvero della presenza della ‘Ndrangheta al Nord. Dobbiamo però riconoscere che l’inchiesta Aemilia ha portato alla luce aspetti ancora più inquientanti”.

Video di Giulia Zaccariello

A parlare al termine della audizioni, il prefetto di Reggio Emilia, le forze dell’ordine, il procuratore capo di Bologna Roberto Alfonso con il sostituto procuratore Marco Mescolini. “L’operazione non è ancora finita, ci hanno spiegato i procuratori – ha continuato Bindi – ma è tuttora in corso e non è esclusa una seconda parte”. Parlando delle misure interdittive per le aziende a rischio di infiltrazione nella ricostruzione post sisma, ha aggiunto che “le white list sono uno strumento utile, sebbene le indagini abbiano dimostrato che è stato aggirato – ha spiegato Rosy Bindi – Stiamo lavorando per una modifica della legislazione, perché le interdittive antimafia sono uno strumento statico, mentre la lotta alla mafia ha bisogno di film, a volte anche di una sceneggiatura vera e propria”.

La Bindi ha poi ribadito che “le interdittive non bloccano l’economia, come è stato spesso detto, è la mafia che la blocca”. Tuttavia, l’obiettivo dei nuovi provvedimenti sarebbe quello di introdurre una nuova metodologia: affiancare le aziende a rischio infiltrazione prima di togliere loro gli appalti, in modo da portare avanti le opere e preservare i lavoratori. “La mafia al nord punta sugli appalti, non tanto quelli pubblici, come al sud dove rappresentano una delle poche fonti di reddito, ma sull’economia privata – ha spiegato ancora Bindi – Occorre permettere alle forze dell’ordine di fare più controlli sui cantieri privati e questo non per interferire nel libero mercato, ma per evitare le infiltrazioni”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/16/reggio-emilia-commissione-antimafia-ndrangheta-pronta-usare-armi/1430583/


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